Andrea Bacchetti, naturalmente. Forse è davvero così: quando M° Bacchetti suona Giovanni
Sebastiano, è come se continuasse una conversation ininterrompue, il cui tema unico e costante
è appunto la musica in se stessa. Non importa quindi se, come nel secondo bis di ieri, affronti
una Goldberg come stesse passeggiando per via XX, a Genova; o, nel programma, metta in rilievo
le sfumature cromatiche di BWV 1058 con la disinvoltura di Fabian Cancellara, pluricampione
mondiale nella cronomondiale di ciclismo. È per ciò un privilegio vero ascoltare due giganti,
uno alla tastiera di Steinway D3 in condizioni magari non eccelse, e tuttavia accettabili,
l'altro presente in ispirito nel sobrio tempio luterano di Sanremo. Il pubblico, fitto di signore
2 volte 45enni, ingioiellate con prestigiosi schiavettoni in oro di Nizza, accompagnate per lo
più da gentiluomini in similpelle, e sbadiglianti, può non avere colto la dimensione esoterica
dell'evento. Ha tuttavia gioito, in via affatto essotèrica, applaudendo a ogni piè sospinto:
e aveva un bello scomporsi, il compostissimo Bacchetti, ponendo le mani avanti e dicendo,
senza dirlo: stàtevi zitte, bestie, il pezzo non è ancora finito. Niente da fare ma anche,
appunto, chi se ne importa? Bach è questione sua. Non per niente, nella prima parte del pomeriggio,
gli archi della Sinfonica di Sanremo, benissimo diretti da Enrico Giovannini, avevano eseguito
con ogni diligenza il Divertimento K 136 e Eine kleine di Amadé: e intanto, dietro le quinte,
Bacchetti ripeteva a mente la sua esibizione, cioè i concerti BWV 1054, 1055 e, già citato, 1058.
Nel corso dei bis, poi, la sua Toccata BWV 914, con quell'allegro a tre voci che soltanto lui
può permettersi d'eseguirlo così lento.
Andrea Bacchetti è musica che pensa e pensiero che si fa musica: se non vi basta, signori miei,
dàtevi al trotto, veramente.