Acqui Terme.
Tra venerdì 6 e sabato 7 settembre Acqui sempre più città della Musica. Certo con qualche "improprietà"
(non tutti gli spazi sono giusti, in quanto soggetti al disturbo dei rumori: è successo a Palazzo Robellini nel corso del
concerto chitarristico; durante i concerti, almeno per il 95% del tempo di esecuzione dovrebbe essere vietato disturbare
esecutore e pubblico in ascolto con gli scatti fotografici, in certe occasioni davvero inopportuni) ma, inequivocabilmente -
tanto eseguita, quanto oggetto d'alta conversazione - la Musica ha riaffermato una sua conclamata centralità nei discorsi della cultura.
Anche in cornici inaspettate: è, così, ecco Carlo Ossola e Alberto Sinigaglia, nel tardo pomeriggio di sabato (Lectio Magistralis per
l'assegnazione del Premio alla Carriera al critico, saggista e docente universitario del College de France) richiamare i pianisti
Nikita Magaloff, Maria Joao Pires, Aldo Ciccolini, Artur Rubinstein (assediato, quasi sul palco, a Torino dai suoi estasiati
ammiratori: scene anche quelle di un concertismo eroico...). E, quindi, soffermarsi sul magistero di Claudio Monteverdi, sulla
nascita del melodramma - non solo con l'Orfeo, ma anche con Il combattimento tra Tancredi e Clorinda sui testi del Tasso), e
anche sul ruolo di operatori culturali come Mario Labroca (allievo di Respighi e Malipiero), indimenticato direttore artistico
di Teatri come "La Fenice" e "La Scala".
Ma non c'è stato, nella due giorni, solo il ricordo della musica: a stornare i pericoli della riproducibilità tecnica un concerto
dal vivo, in Santa Maria, venerdì 6, che dà modo di riaffermare la superiorità (certo privilegio di pochi grandissimi) di quella
musica che nasce, quasi diremmo un miracolo, sotto le dita della tastiera.
Un incanto il concerto di Andrea Bacchetti dedicato alle pagine di Bach e Berio, ulteriormente arricchito, rispetto al programma
da noi annunciato su queste colonne, dal Preludio in do maggiore dal "Clavicembalo ben temperato" e, nella parte dei
bis, dalle esecuzioni di Scarlatti, Villa Lobos e Chopin.
Impressionante l'approccio del pianista genovese alla pagina (e già a cominciare dalla due Suite, la quinta inglese e la quinta
francese, "attaccate" con un vivo mordente, che potremmo dire connotato da un colore complessivamente organistico):
formidabile la sicurezza, la proprietà, la resa del linguaggio, anzi dei linguaggi, perché i brani di Bach e Berio son separati
da uno spazio cronologico di 200 anni).
Ma, intorno a questo scrigno musicale, ecco gli interessantissimi contributi, in video proiezione, di una delle ultime interviste
di Luciano Berio ("Il Caffé", su Rai International, e in studio c'era anche Andrea Bacchetti al pianoforte: la
registrazione il 16 gennaio 2003), quale preludio visivo e sonoro al recital.
Quindi, al suo termine, la conversazione tra Enrico Pesce e il concertista, a spiegare i criteri "armonici" della
composizione del programma, la poetica di uno stile esecutivo privo di fraseggio, del distacco dalla emozioni, dalla ricerca
della impassibilità, della freddezza dinnanzi alle linea musicale algida, senza fraseggio, che diventa "moderna" in
quanto priva di espressione, in quanto meccanica. Proprio per superare l'idea romantica dello strumento, l'approccio diventa
intellettuale, solo razionale.
Il canone musicale
Anche qui, in Berio, come ovvio, emergono passioni e antipatie: ecco il compositore che "aggiorna" la lezione bachiana,
in cui si riconosce; che non sopporta tanto Mendelssohn, quanto Paganini: il suo un lavoro di innovazione, di sguardo in avanti,
volto alla ricerca della rottura. E poi di rescrittura (e non è un caso tra i brani "essenziali", per conoscere il
profilo identitario del maestro di Oneglia, ci siano - con i Folk Songs scritti per Cathy Berberian e la Sequenza per flauto -
il Rendering da Schubert [versione completa 1990, presentato al Concertgebow] e poi la ammaliante Ritirata notturna di Madrid da
Boccherini (e allora segnaliamo una bellissima incisione dell'Orchestra Sinfonica e Coro "Giuseppe Verdi", per la
direzione di Riccardo Chailly, edita dalla Popolare di Milano del 2004 e accompagnata da un volume di saggi e testi tra gli altri
di Edoardo Sanguineti, Italo Calvino, Goffredo Bettini, Enzo Restagno e altri].
Interessantissima questa "coda" dalla chiara coloritura musicologica (si parla di spazializzazione del suono, della
gestualità, dell'intenzione: di un approccio "a Berio" che poi è lo stesso a Boulez, a Giacomo Manzoni), e tecnica, che
trova il suo più alto (e forse un poco "folle", seguendo Dante), volo nei quattro di anni di studio e preparazione - dice
Andrea Bacchetti - per incidere l'opera pianistica di Luciano Berio. Incontrato da un dodicenne ragazzino genovese al Mozarteum di
Salisburgo nel 1989... L'inizio di un percorso che ha collegato un incredibile talento pianistico ad una delle personalità artistiche
e musicali più interessanti del Novecento Italiano.
G.Sa