Spazio musicale
L'ouverture "Coriolano" di Beethoven, che ha dato avvio al concerto del 31 gennaio all'Auditorio
Stelio Molo di Lugano, ultimo della serie OSI in Auditorio, si basa su due elementi opposti: accordi perentori
combinati con un tema aggressivo e minaccioso da un lato, un motivo dolce e implorante, ripetuto insistentemente,
dall'altro. Di questo contrasto si sono date interpretazioni diverse. Secondo alcuni rifletterebbe un conflitto
esistente nell'animo di Coriolano, combattuto tra la volontà di attaccare Roma e la voce della coscienza, che lo
indurrebbe ad amore per la patria e alla pietà. Secondo altri invece ai propositi bellicosi del protagonista si
opporrebbe l'invito della madre a lasciarsi guidare da sentimenti più umani. Qualunque sia l'interpretazione
giusta, resta da ammirare il modo in cui Beethoven scolpisce il dissidio, la forza dei passaggi riflettenti le
furie di Coriolano e la soavità di quelli che fanno emergere le esortazioni a mitezza e bontà. Krzysztof Urbanski
dal podio e l'Orchestra della Svizzera italiana hanno dato dell'ouverture una esecuzione complessivamente buona,
tuttavia non con la compattezza e la cura dei particolari che siamo abituati a sentire.
Il concerto per pianoforte e orchestra KV 503 di Mozart - secondo numero in programma - non è tra i più eseguiti
del Salisburghese eppure si distingue per numerose particolarità. Valga come esempio la cellula che all'inizio
dell'"allegro maestoso", dopo i pomposi accordi introduttivi, compare nei primi violini, viene ripresa
immediatamente, sia pure variata, dai secondi e passa poi ai fagotti. È semplicissima, conta solo cinque note,
quattro di esse sono ribattute. Ma assume importanza perché viene usata insistentemente, non solo nel primo tempo
ma anche in diversi passaggi del secondo. Attorno ad essa Mozart costruisce un tessuto musicale abbastanza complesso.
La partitura offre al pianoforte un certo numero di episodi a semicrome dove l'esecutore può lanciarsi in rapide
corse. Tuttavia nella maggior parte dell'"allegro maestoso" lo strumento solista rimane in stretto contatto
con l'orchestra, sia dialogando con essa, sia svolgendo il suo discorso intensamente accompagnato. Sono particolarmente
importanti in questo profilo gli interventi dei legni. Il rapporto tra pianoforte e orchestra non cambia sostanzialmente
nell'"andante" di mezzo. Con l'"allegretto" finale giunge poi la parte migliore del concerto.
Se il primo tempo contiene cenni di umorismo e ironia, nel terzo questi aspetti sono portati, per così dire, a pieno
regime. Già il frizzante motivo iniziale ha un fare birichino inconfondibile (e ci rammenta che la composizione di
cui sto parlando è del 1786, l'anno delle "Nozze di Figaro"). Più avanti si inserisce anche il virtuosismo,
dando origine a una musica esuberante, gioiosa, da annoverare tra le più belle scritte da Mozart. Ma non dimentichiamo
che al centro del rondò c'è anche un momento in cui appare una fine espressione di lieve tristezza svolta con mano
leggera ed elegante.
L'esecuzione ha avuto tutti i pregi che possono rendere pienamente godibile l'ascolto di composizioni mozartiane.
Il pianista Andrea Bacchetti, che possiede un tocco chiaro e netto come pure ottime qualità di fraseggiatore, ha
conferito alla sua interpretazione scioltezza, trasparenza e limpidità. Bella la cadenza composta da lui medesimo,
che si è inserita agevolmente nel primo tempo, tra l'altro utilizzando intensamente, come era logico, il motivo di
cinque note di cui si è detto. Altre parole elogiative vanno dette passando dal pianista al direttore e all'orchestra.
L'uno e l'altra hanno saputo trovare, al pari di lui, un autentico spirito mozartiano. Pressoché perfetto è stato
l'equilibrio tra solista e orchestra: la discrezione dei legni, chiamati in causa assai spesso nell'accompagnamento,
ha sempre evitato che il pianoforte venisse messo in ombra. Nei due numeri fuori programma, dedicati a Bach, il
Bacchetti ha poi dato una nuova prova delle sue capacità con esecuzioni avvincenti, in cui tutte le voci del
contrappunto venivano percepite in modo assolutamente netto.
Con la terza composizione della serata si è tornati a Beethoven. Le prime due sinfonie del grande maestro hanno avuto
la "sfortuna" di precederne altre sette di altissimo valore e grande popolarità. Pertanto, molti
frequentatori di concerti che apprezzano quelle dalla terza in su e magari ne conoscono a memoria molti temi sentono
una certa diffidenza nei confronti della prima e della seconda, come se si trattasse di prove giovanili, scritte
sotto l'influsso di grandi compositori venuti prima, interessanti semmai per dare la misura del salto effettuato in
seguito dal loro creatore. Sbagliano. Per cominciare Beethoven le compose quando era ormai sulla trentina e quindi
non ha senso parlare di tentativi giovanili. Soprattutto però questi lavori recano già, sia pure non ancora
interamente, l'impronta del genio di Bonn. Per quanto riguarda la prima sinfonia, quella eseguita a Lugano il 31
gennaio, si può osservare che il tema fondamentale dell'"allegro con brio" ha un piglio così deciso e
volitivo da non lasciare dubbi sulla personalità del compositore. Interessante è poi il fatto che nello sviluppo
tale tema viene scomposto e i suoi frammenti usati in imitazioni, anticipando un modo di procedere che apparirà
frequentemente nei futuri capolavori. Tutto il primo tempo vive di forti contrasti dinamici e ci dice che non siamo
più nel mondo di Haydn o Mozart. Meno convincente è l'"andante cantabile con moto", dove effettivamente
Beethoven guarda indietro e si perde anche in qualche leziosità; si apprezzano peraltro l'accuratezza della
strumentazione e dei contrappunti come pure il tono semplice e bonario. Nuove prospettive apre invece il minuetto,
che è tale solo di nome, in quanto reca già i tratti di uno scherzo: parte con una grande e focosa ascesa dei violini,
è tutto fremiti e stringatezza, possiede una dinamica fortemente rilevata, con largo uso di "fortissimo"
e "sforzando"; perfino il trio, nonostante i carezzevoli accordi dei legni, non rappresenta un'oasi di
totale tranquillità perché i violini vi inseriscono rapide figurazioni di crome. Quanto al tempo finale si può dire
che, se i suoi temi fanno correre il pensiero a Haydn e Mozart, lo slancio, la veemenza e la vitalità di questa musica
la spingono oltre i presunti modelli. Nell'interpretazione dell'Urbanski e dell'Orchestra della Svizzera italiana
gli elementi che anticipano i grandi raggiungimenti beethoveniani sono emersi egregiamente, specialmente nel primo
tempo, risultato teso e a volte perfino sferzante.
La sala era completa; fatto notevole se si considera che la medesima serata, al LAC, suonavano Schiff e la Cappella
Barca. Direttore, pianista e orchestra sono stati festeggiatissimi. Ci siamo così congedati, in bellezza, dalla serie
OSI in Auditorio, purtroppo comprendente soltanto quattro appuntamenti.
Markus Poschner
Il concerto di cui ho parlato sopra doveva essere diretto da Markus Poschner, direttore principale dell'Orchestra
della Svizzera italiana. Nel frattempo, però, il Poschner ha ricevuto l'incarico di dirigere "La Valchiria"
ad Abu Dhabi con i complessi di Bayreuth. Evidentemente non poteva rinunciare a una occasione di così grande
importanza e che potrebbe aprire la via ad ulteriori sviluppi di rilievo. Va aggiunto che, se da un lato la rinuncia
a dirigere il concerto luganese può aver deluso alcuni suoi ammiratori, d'altro lato il fatto che il direttore
principale dell'orchestra ticinese venisse chiamato a un compito di grande prestigio fa molto onore a lui e, di
riflesso, anche all'OSI. Non resta dunque che rallegrarci e felicitarci con il Poschner.
Carlo Rezzonico