Andrea Bacchetti premiato: colloquio a Varsavia
Nel pomeriggio del 12 aprile il
pianista genovese Andrea Bacchetti, un interlocutore abituale di MUSICA,
ha ricevuto l'International Classical Music Award per il suo disco di sonate di Domenico Scarlatti pubblicato
da Sony (88765417252).
Poche ore dopo ha brillato in un Concerto bachiano eseguito con la Sinfonia Iuventus
nella Sala della Filarmonica di Varsavia.
Il giorno prima invece aveva rilasciato una lunga intervista radiofonica per il pubblico internazionale, di cui
trascriviamo qui alcuni estratti.
Ci può spiegare il significato del titolo del Suo disco premiato a Varsavia: «The Scarlatti
Restored
Manuscript»?
La novità deriva non dalla scelta delle sonate, tutte incise già più volte, anche da grandi interpreti, ma
dalla decisione di basare le esecuzioni sui manoscritti contenuti nella Biblioteca Marciana di Venezia.
«Restaurare», in questo contesto, non significa solo levare un po' di polvere, ma esaminare con
attenzione il testo e verificare che sia il più possibile logico e conforme a quello che dovrebbe essere
stato il pensiero del compositore. Devo dire che la grafia di Domenico Scarlatti è fantastica. Il manoscritto
del resto è una copia, realizzata dallo stesso compositore, per la regina Barbara di Portogallo, che suonava
la tastiera per diletto. è quasi come un libro stampato, e ciò rispecchia anche la facilità del processo
compositivo di Scarlatti, che aggiungeva ben poche indicazioni di fraseggio. Era lui stesso un vero virtuoso
e tutto veniva da sé.
Anche l'interpretazione deve venire da sé?
Dovrebbe sembrare il più naturale possibile. Io mi propongo di suonare in un modo libero e ispirato senza
troppi
calcoli cerebrali. Queste musiche di Scarlatti erano concepite per essere suonate estemporaneamente. Il
compositore ne scrisse più di seicento nell'intero arco della sua vita, con spirito di divertimento. E anche
l'interprete dovrebbe cercare di divertirsi più che può .
Conosceva da tanti anni tutte le dieci sonate comprese nel disco?
Non le conoscevo tutte. Due sono notissime perché le ha incise Horowitz. Le altre non le conoscevo e ho cercato
di privilegiare, nelle mie scelte, la vena nostalgicamente poetica del compositore. Sono stato attento anche
all'armonia, all'interesse delle modulazioni. E mi sono convinto ulteriormente che Scarlatti è uno di quei grandi
compositori che non dà mai bidoni. Non si trovano quattro sonate meravigliose seguite da una banale: anche quelle
meno belle sono sempre musica di alta qualità. Mentre i manoscritti di Galuppi, Marcello e Cherubini - di cui mi
sono occupato in precedenza - svelano alcune pagine meravigliose, ma molte altre di serie B, che naturalmente sono
state escluse dai CD.
Nel disco premiato, Domenico Scarlatti viene accostato ad Antonio Soler.
Ho scelto Soler perché fu un seguace del compositore italiano durante la permanenza di quest'ultimo in Spagna. Le
sue sonate somigliano molto a quelle di Scarlatti. Una, quella in Re bemolle maggiore, fa pensare secondo me alle
processioni di soldati all'epoca di Carlo V. Parecchie sonate di Scarlatti poi hanno un carattere spagnolo. Una di
quelle comprese nel CD, la Sonata in Si bemolle maggiore K 172, colpisce particolarmente da questo punto di vista,
con i ribattuti che ricordano le nacchere.
Quando esegue questo repertorio in concerto pensa soprattutto alla proiezione del suono o a fare entrare
il pubblico nel Suo mondo?
Quando ero bambino mi dicevano sempre che bisogna suonare per il pubblico. Certo, il discorso della prospettiva
è fondamentale nell'eseguire qualsiasi musica. Il fatto di non fare mai due note uguali - dal punto di vista
dell'intensità, non del ritmo - è molto importante. Io penso che in sala uno debba suonare come sente: se il suo
pensiero è ben strutturato e convincente, allora arriverà al pubblico. Oggi però provo una maggiore tensione
nervosa che in passato. C'è sempre il rischio di correre troppo nelle esecuzioni, perché suonando in pubblico
il cervello pensa più velocemente.
Per il concerto di gala a Varsavia ha scelto di suonare non Scarlatti, ma Bach, insieme alla Sinfonia
Juventus.
Un solo Concerto di Bach è un po' poco in realtà. Quest'anno ho fatto delle serate in cui ho eseguito tutti i sei
Concerti per tastiera di Bach di seguito - cent'otto minuti di durata - seguendo un ordine mio che è lo stesso in
cui li ho imparati. Quello in Sol minore che suono qui è il primo Concerto bachiano che ho imparato, nel 2001.
Originariamente era concepito per violino: tutti i sei Concerti di Bach sono in realtà trascrizioni dello stesso
autore. Per questo motivo presentano difficoltà diverse dalle Variazioni Goldberg, per esempio, scritte già in
partenza per la tastiera. Quello in Sol minore ha un secondo tempo particolarmente espressivo, mentre il terzo è
una giga virtuosistica. La musica di Bach in ogni caso non conosce limiti di età e di tempo e non conosce neanche
i limiti di strumento: la sua musica si
può suonare su tutti gli strumenti. E proprio questo è l'elemento più personale della musica di Bach.
Anche Mieczyslaw Horszowski, sposato con una genovese, era un grandissimo bachiano. Ha avuto dei contatti
con lui?
Adesso è un mio idolo assoluto. Mi ha sentito suonare da bambino (lui aveva novantotto anni) nel Concerto K 386
di Mozart con una mia cadenza, che ha mostrato di apprezzare. Io l'ho sentito due volte dal vivo, ma quando ero
bambino a me piacevano soprattutto Horowitz e Richter, questi mega-virtuosi che conoscevo attraverso i dischi.
Horowitz non l'ho mai sentito dal vivo e Richter l'ho sentito solo da vecchio: suonava Bach, e devo dire che in
quell'occasione mi è sembrato noioso. Adesso il suo Clavicembalo ben temperato del 1972 mi pare ancora insuperato,
ma le Suites inglesi e francesi eseguite da lui negli ultimi anni mi piacevano meno delle interpretazioni di
Horszowski.
Che bilancio fa ora della Sua esperienza con la musica di Berio?
Sono contento di aver fatto il sacrificio e di aver imparato quelle musiche difficilissime: anti-musicali per
principio. E ho fatto anche il disco, che in realtà non ha trovato acquirenti da nessuna parte. In Berio si
celebra il funerale del pianoforte come strumento espressivo. Lui trasforma la tastiera del pianoforte in una
sorta di tastiera elettronica: per andare da una nota all'altra non ci dev'essere nessuna legatura, nessuna
espressione. La sua musica dunque è difficile da digerire, ma è stata formativa. Quando suonavo la Sequenza e poi
passavo alle Suites francesi di Bach mi sembrava di essere un po' più ispirato.
Lei dove si vede tra dieci anni, in termini di repertorio?
Non so. L'Italia è un paese in cui non sai se sarai vivo il mese dopo. Io vorrei comunque cambiare il repertorio
un po', anche perché quando ero giovane suonavo altre musiche. Il Barocco l'ho avvicinato verso il 2000. Primo
suonavo Liszt, Chopin, Beethoven, Debussy, Rachmaninov. Ora forse sarebbe il caso di tornare a suonare quel
repertorio un po' più di frequente.
Stephen Hastings
musica 257, giugno 2014