Le diciannove suite per tastiera di Bach sono opere della piena maturità, scritte presumibilmente
durante il soggiorno del compositore a Köthen, dove lavorava in qualità di Kappellmeister.
Si tratta di tre gruppi di sei brani, che vanno sotto il nome di Suite Inglesi (BWV 806-811),
Suite Francesi (BWV 812-817), Partite tedesche (BWV 825-830) ai quali va aggiunta una Ouverture
"alla maniera francese" (BWV 831).
In realtà, le denominazioni che le contraddistinguono hanno poco a che fare con lo stile utilizzato,
essendo state introdotte in un secondo tempo, più per comodità che per altro, da Forkel, il più noto
dei biografi di Bach.
Come in molti altri casi legati alla produzione bachiana, non si sa precisamente quale fosse lo
strumento al quale erano destinate e se, in generale, le ipotesi propendono per il cembalo, nel
caso delle suite francesi si parla anche del clavicordo.
Per quanto riguarda la struttura, Bach seguì lo schema classico della suite, con la successione
delle quattro danze Allemanda, Corrente, Sarabanda e Giga.
Ma, come negli omonimi brani per violoncello, talora troviamo un Preludio e, tra Sarabanda e Giga,
l'inserimento di una coppia o di un terzetto di danze supplementari.
Parte di questa vasta produzione è stata al centro del recital tenuto dal giovane pianista genovese
Andrea Bacchetti, nell'Auditorium di Castel S.Elmo, nell'ambito della stagione dell'Associazione
Scarlatti.
In programma due suite inglesi, la n. 4 in fa maggiore BWV 809 e la n. 5 in mi minore BWV 810 e due
suite francesi, la n. 4 in mi bemolle maggiore BWV 815 e la n. 5 in sol maggiore BWV 816, eseguite
alternativamente e in ordine inverso rispetto al numero d'opera.
Fin dall'inizio del concerto, Bacchetti è apparso liberarsi di tutti i problemi filologici, che si
pongono ogni volta che il pianoforte viene utilizzato al posto degli strumenti, per i quali i pezzi
erano originalmente destinati (nel caso specifico, come accennato in precedenza, il cembalo ed il
clavicordo).
La sua figura minuta faceva, inoltre, quasi da contraltare ai monumenti musicali che stava eseguendo,
per cui si aveva quasi l'impressione che, da un momento all'altro, potesse cadere sfinito sotto il
peso della partitura.
Invece, il pianista ha dimostrato una resistenza ed una lucidità fenomenali, con poche pause fra
una suite e l'altra e, soprattutto, non ha concesso alcun intervallo al pubblico, rimanendo alla
tastiera ininterrottamente per quasi un'ora e mezza.
Si è trattato di un'interpretazione di grande livello, che ha toccato punte di alto virtuosismo,
come nella straordinaria giga della Suite Francese n. 4, con la quale si è chiuso il programma
ufficiale.
A questo punto la maggior parte dei solisti, ricevuti i meritatissimi applausi degli spettatori,
si sarebbe accomiatata, ponendo fine al recital, ma Bacchetti, quasi a volersi rilassare dopo tanta
fatica, ha proposto come bis un'intera sonata di Mozart, evidenziando grande dimestichezza anche
con la musica del genio di Salisburgo, esaltata da un tocco straordinariamente limpido.
Le sorprese non finivano qui, in quanto l'artista ha voluto concludere definitivamente con Moon
River di Henry Mancini (dal film Colazione da Tiffany), scelta che forse avrà fatto storcere il
naso a più di un presente ma, a nostro avviso, la bella musica, interpretata con eleganza, non è
mai fuori posto.
Al proposito, va ricordato che il motivo vinse nel 1962 l'Oscar per la migliore canzone e, per
suonarlo, Bacchetti è ricorso, unica volta nella serata, allo spartito, indice che tanto banale
il pezzo non doveva essere.
In definitiva la serata ha confermato l'elevata caratura di un pianista, fra i migliori della sua
generazione, apparso anche rigoroso e poco propenso al divismo, il che lo ha reso ancora più
simpatico ai nostri occhi.