La
mattina del 29 ottobre 1989 ci riservò un'esperienza musicale
entusiasmante ed inquietante in una. |
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Ci si senti rasserenare quando, al termine del concerto, proprio da lui si apprese che aveva fretta di tornare a casa perché, nel pomeriggio, doveva partecipare ad una partita di calcio. Come un dodicenne qualsiasi. Oggi
Andrea Bacchetti, nato in un verdeggiante paesino del Genovesato, ha 27
anni. La sua formazione come pianista e - più propriamente - come
musicista si è avviata sotto la guida di Lidia Baldecchi Arcuri
"che mi ha plasmato tecnicamente", è proseguita con Luciano
Berio "al quale devo la scoperta delle ragioni dell'avanguardia e
di un modo inflessibilmente razionale di indagare la creatività
musicale", quindi, a Lucerna, con Rudolf Baumgartner "mi ha
comunicato la gioia della musica vissuta come libertà" e infine,
alla Scuola di Imola, con Franco Scala "che mi ha insegnato ad
essere, fino in fondo e solo me stesso". Un'esuberante collezione
di "borse di studio" (tra le quali quelle della Yamaha Music
Foundation di Londra, del Mozarteum di Salisburgo e del Conservatorio
Nazionale Superiore di Parigi) e di prestigiose ammirazioni (oltre ai
plausi già citati, si menzionano, perché particolarmente cari a
Bacchetti, quelli di Magaloff e Horszowski) ricorda il suo folgorante
avvio; un voluminoso curriculum di successi, inanellati nei
festivals europei più risonanti e in teatri e sale sale da concerto di
mezzo mondo, testimonia che le precoci promesse hanno avuto corso.
Infine, il versante discografico: considerato da Luciano Berio
interprete di livello assoluto della propria musica, tra i sei compact
realizzati da Bacchetti (che con il compact mendelssohniano proposto da
Amadeus diventano sette) spicca quello Decca dedicato, appunto,
all'opera pianistica di Berio. Di tutto ciò e di altro, tutti i
particolari sul sito internet di Andrea Bacchetti. Ma non la risposta a
curiosità che da quella domenica di quindici anni fa, di tanto in
tanto, fanno capolino... Come visse Andrea Bacchetti la sua condizione di "bambino prodigio" e come rimedita, ora, il suo vezzeggiato "passato"? <
Credo
che per tutti i bambini il "prodigio più prodigioso" sia il
gioco. Certo, un qualche compiacimento nel vedere riconosciuta la
propria abilità come "giocatore" si deve mettere in conto, ma
- che io ricordi - ciò che veramente mi importava era che il gioco da
me preferito, fare musica, riuscisse. Sapevo di essere bravo nel
rispettare le regole necessarie al prodursi del "prodigio", ma
non trovavo nulla di "prodigioso" nel fare ciò. E,
sinceramente, non credo che quel mio atteggiamento "infantile"
sia mutato in seguito, con il progressivo precisarsi e moltiplicarsi dei
problemi che competono alla responsabilità di un interprete. Tutt'ora,
per me, non v'è altro "prodigio" se non la musica, e tutt'ora
sento che quanto mi riesce di "dare" alla musica in realtà è
un dono che la musica fa a me. Un mutamento, però, ho dovuto
registrarlo: l'ammirazione degli altri, con il passare degli anni, si è
volta in una sorta di sospetto. Come se chi è ritenuto "bambino
prodigio" non possa essere altro che un "bambino
prodigio". Là dove anagraficamente finisce il bambino, là finisce
ogni attesa di "prodigio". L'anagrafe di un pianista è
indifferente alla musica, che infatti continua, ma per l'ex-prodigio
c'è un "da capo" in più. Veniamo a Mendelssohn... <
... autore "meraviglioso" nel senso esatto del termine, la cui
serena genialìtà schiude alla sensibilità e all'intelletto temi
d'arte e di poesia sorprendenti, assai più complessi e sottili di
quanto normalmente non si ritenga. Autore che continuo ad approfondire,
e il crescente appagamento morale che provo credo di poterlo spiegare
con l'affinità elettiva che lega il mio modo di "sentire" la
musica - cioè: emozione liberata attraverso la razionalità, moti
dell'anima perseguiti attraverso il rigore costruttivo - al singolare
romanticismo di Mendelssohn. Intenso, vivido, vigile nell'accogliere gli
stimoli di un'epoca eppure "a sé": trasparenza spirituale,
limpidezza di pensiero e lucida coscienza d'arte lo preservano da ogni
enfasi irriflessa, da ogni scalpito del demoniaco, da ogni turbamento
irrazionale. Al momento, Bacchetti ha in repertorio solo la produzione mendelssohniana per pianoforte e orchestra, comprese pagine di rarissima esecuzione come Serenade und Allegro op. 43, Capriccio brillante op. 22 e Rondò brillante op. 29. C e un motivo perché abbia incominciato da qui l'avventura mendelssohniana che certamente l'attende? <
Forse l'emblematicità di queste opere. Infatti, a parer mio, la musica
pianistica di Mendelssohn ha dovuto e deve vedersela con un
fraintendimento. Siccome Mendelssohn era un pianista brillantissimo
(Clara Schumann lo considerava un "virtuoso" superiore a
Liszt), è parso coerente leggerne l'opera pianistica, e in particolare
- appunto - le opere per pianoforte e orchestra, in chiave esibitoria.
Si è trascurato di sondare fino a che punto la nitida effervescenza
della scrittura mendelssohniana non racchiuda precise intenzioni
poetiche, sicché risolverla in esultanza esecutiva significa
irrigidirne il senso e trascurare i lieviti romantici che rendono magici
anche gli accenti più leggiadri dell'immaginazione di Mendelssohn. Pur
tenendo in conto abbaglianti "precedenti" quali - ad esempio -
le esecuzioni di Serkin, Perahia e Schiff, io ho, allora, ritenuto di
allontanarmi da un'impostazione virtuosistica, ho adottato tempi meno
veloci e più adeguati al formularsi di intime vibrazioni, ho
riconsiderato queste opere, ritenute ottime e abbondanti per le dita, in
modo strutturalmente ed espressivamente più articolato. Mi sembra che,
così, acquisiscano una fisionomia tutt'altra. Cioè, giusto per esemplificare? <
L'introduzione idilliaca e l'irrompere inatteso della marcia, autentico
coup de theatre, se drammaturgicamente gestiti, donano al vitalismo del
Capriccio un respiro fantastico che ne dilata l'apparente frivolezza e
la trasfigura. Quanto a Rondò: dal dialogo d'avvio tra pianoforte,
fanfara di ottoni e poi orchestra si destano tratti drammatici e
immagini notturne che fanno del calligrafismo "concertante"
uno scrigno di arcane risonanze; poi - a cuore della composizione -
pulsa un fugato di impressionante arditezza elaborativa, un culmine
splendente di maestria, e da esso trae slancio il pirotecnico
precipitare del finale. Quanto a Serenade und Allegro: Serenade è in
sé un capolavoro. Cinque minuti di intensità inaudita, irrorata da
flessuosità armoniche altrettanto inaudite. Stupore d'obbligo ". Resta il Concerto n. 1, opera più nota ... <
Mi dichiaro incantato soprattutto dall'arcadica delicatezza del secondo
movimento. Vi aleggia un sorriso che ne eleva al quadrato l'evidente
"classicità", si da consegnarla a una sensibilità di nuovo
conio, assolutamente mendelssohniana, cioè tesa ad armonizzare le
lezioni della storia e a comporne le specificità in superiore emozione
intellettuale. Niente "fratture", insomma. Il che, in fondo, è quanto costò a Mendelssohn l'irrisione di Wagner e di Debussy (che lo definì "un notaio elegante") ... < Anche Berio accusava Mendelssohn d'essere un romantico poco coraggioso, un "minore". In compenso Goethe scorgeva in lui un Mozart del nuovo secolo, e questa - con l'ammirazione "in diretta" di Schumann, analoga nel tenore - è una prospettiva comunque affascinante se si riflette sulla singolarità romantica di Mendelssohn. |