Domenica, 6 dicembre 2009


Andrea Bacchetti e l'emozione di interpretare Mendelssohn

Il terzo appuntamento del "Festival Cantelli", tenutosi gio-vedì scorso presso il Teatro Coccia ha visto protagonista la musica di Mendelssohn e di Martucci interpretata dall'Orche-stra del Festival Puccini di Torre del Lago diretta da Massimilia-no Caldi, con solista Andrea Bacchetti. Una scelta, quella di eseguire nel secondo tempo la prima fatica sinfonica del mae-stro capuano - la Sinfonia op. 75 in Re minore - che si colloca tra l'altro nel ciclo di esecuzioni in sua memoria nell'anno del centenario dalla morte. Ben eseguita salvo qualche impreci-sione, è di grande respiro e titanismo, debitrice diretta del sinfonismo tedesco che il compositore ha sempre preso a modello: non solo quello più tradizionale di Beethoven e, in certa misura, di Brahms, ma anche quello "progressista" di Wagner, per un disegno com-plessivo riuscito (anche se può risultare, all'orecchio di pragma-tici ascoltatori, peccatrice di una certa ostentata corpulenza, tipica del sentimentalismo tar-doromantico). Il programma, comunque, ha preso il via ex abrupto con la celebre op.25 di Mendelssohn, il primo Concerto per Pianoforte.
Un lavoro «molto difficile, - ha commentato, intervistato dopo l'esecuzione,  Andrea Bacchetti - sia per gli aspetti di puro virtuosismo, sia e soprattutto per la poesia nell'ambito del vir-tuosismo stesso; e per il "di-scorrere" con l'orchestra, l'inter-loquire con il "tutti", ma anche per le cadenze solistiche».
Un'interpretazione a cui non si rivolge peraltro nessuna critica, ed anzi un apprezzamento parti-colare. «E' un concerto che ho suonato molte volte, contiene anni di lavoro, di emozioni, di esperienza.
Ogni volta, tuttavia, è sempre come la prima volta!».
Emozioni e sensazioni che Bacchetti condivideva già negli anni più impegnativi di studio presso grandi maestri con i quali, non senza enorme impe-gno - essendo peraltro mozartianamente precoce - ha potuto formare la propria esperienza
musicale, anche sulla base di una capacità particolare: «Avevo 5 anni quando i miei genitori

 

 

all'orecchio diede consigli pre-ziosissimi.
Un bel giorno, dopo la mia ese-cuzione della Sequenza alla presenza del Maestro al Festival di Brescia e Bergamo, lo vidi molto emozionato: mi abbrac-ciò, mi disse che a quel punto la Sequenza era proprio quella che lui voleva, come lui l'aveva pensata.

Naturalmente con Berio non si parlava solo della sua musica: ascoltava tutto e ogni volta mi illuminava con il suo pensiero, che è stato per me un grandissimo "pilastro formativo" sotto ogni punto di vista. Con il maestro abbiamo parlato e lavorato molto anche sul repertorio con orchestra o con ensemble vari.

Erano un "unicum formativo", insieme alle partiture per strumento solistico. Non ho però mai avuto l'occasione (e forse è mancato il tempo) di studiarle per eseguirle e quindi di fatto poi le ho un po' trascurate. Peccato!».
Infine, ricordando i bis del suo recital da solista tenuto l'anno scorso sul palco del nostro Teatro, Bacchetti ha espresso il sua giudizio sulla musica jazz, altro mondo in cui si cimenta, concludendo l'intervista: «Mi piace molto la musica jazz. Di fatto ho incominciato da bam-bino in questo ambito: improvvi-savo su motivi celebri con la massima facilità.

Quando avevo 11 anni, al mio debutto a Milano con i Solisti Veneti, è salito sul palco uno spettatore che ha fatto "4note" sul pianoforte. Io ho improvvisato su quel "four-notes" per circa 20 minuti.

Mi piacciono molto i grandi temi americani. Con i pianisti jazz Dado Moroni e Andrea Pozza ci divertiamo spesso a suonare e improvvisare a 4 mani o a 2 pianoforti.
Abbiamo costruito insieme an-che un programma da concerto nel quale io suono un brano classico, il pianista  jazz mi risponde con un'improvvisazione sul tema da me proposto, e così via. E' un'altra dimensione della musica. Del resto è sempre e comunque "Musica" quella che nasce dal cuore».

 

Alessandro Curini

  Il pianista Andrea Bacchetti
 
 
 

hanno scoperto che avevo l'orecchio assoluto: sentivo una frase musicale e la ripetevo immediatamente al pianoforte. Andavo ai concerti e suonavo nella mia testa nota per nota; ho imparato a leggere prima le note musicali delle lettere dell'alfabe-to.Suonavo i concerti di Mozart cantando ad alta voce le parti dell'orchestra.
Karajan mi diceva quanto fosse sì importante "cantare", ma che si sarebbe dovuto "Cantare dentro". Il tutto con la massima naturalezza e senza che io me ne rendessi conto.
Poi pian piano sono passati gli anni: all'incoscienza è suben-tratala la consapevolezza. Questo è il momento in cui si rischia veramente di finire.
Allora si comincia a capire, e spesso non si riesce più a fare ciò che si faceva qualche anno prima inconsapevolmente. A me veniva voglia di studiare, un po' testardamente, avevo un grande desiderio di approfondire: volevo fare con coscienza quello che prima facevo per gioco. Provavo. Mi arrabbiavo, e ricominciavo da capo. Giorni, settimane, mesi... Questa, forse, è stata la strada che mi ha aiutato a passare da una all'altra situazione.
Tanto studio, molto impegno, la voglia infinita di crescere, di andare dietro le note, la grande fortuna di incontrare uomini co-me Rudolf Baumgartner, Franco Scala, mio insegnante all'Acca-demia di Imola; o come Luciano Berio».

 

Curioso soprattutto come abbia influito l'insegnamento di Berio nel formare non solo una certa "forma mentis" verso quel genere di avanguardia di cui Berio era dotto maestro e di cui Bacchetti è finissimo interprete, ma anche a contribuire ad una grande aper-tura mentale: essere interprete variegato di Bach-Mendelssohn-Berio è una ardua impresa.
Musica insieme lontanissima e vicinissima.
«Il mio rapporto con Berio nasce quando, giovanissimo a Salisbur-go per una borsa di studio, al mio concerto al Festival omonimo il Maestro è presente e mi ascolta.Dopo pochi giorni mi invita a casa sua presso Radicondoli. Da quel giorno mi è sempre stato artisticamente molto vicino, fino a pochi giorni prima della sua morte.

E' con lui che abbiamo pensato al programma Bach-Berio. Le suite francesi o inglesi alternate con gli Encores o con Rounds. E poi: lo studio della Sequenza IV per pianoforte!

Un'esperienza straordinariamen-te bella, ma difficile: lasciava il segno anche sul sistema nervo-so, tanto era impegnativa! L'ho preparata con lui per molti anni: non andava mai bene, mi cor-reggeva illustrandomela passo a passo, mi incoraggiava, sempre con grande affetto.
Ricordo che un giorno, disperato ed esasperato dalle prove, gli telefonai. Non era in casa.

Dopo poche ore mi richiamò dal Giappone e con il telefono