IL PIANISTA GENOVESE PARLA CON RICCARDO RISALITI DI CULTURA,

REPERTORIO, DI ESPERIENZE DI LAVORO E DI VITA...

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Ho incontrato più volte Andrea Bacchetti, e più volte ho parlato con lui, anche senza pensare, ovviamente, ad una vera e propria intervista. Incaricato invece proprio ad intervistare il giovane pianista genovese, ho pensato di limitare i miei interventi a pochi spunti, lasciando il campo quasi totalmente alla mercuriale eloquenza di Bacchetti, le cui doti comunicative non si limitano alla situazione per lui più normale, cioè quando mette le mani sulla tastiera. Botta e risposta, dunque. Ma... la risposta prevale!

Anzitutto, qualche domanda sui tuoi studi: come ti trovi a Imola?

I miei studi musicali si sono svolti presso il Conservatorio N. Paganini di Genova, mia città natale. Fino al diploma conseguito all’età di 17 anni. Parallelamente ho frequentato il liceo acquisendo la maturità classica ed ho fatto il compimento medio di com- posizione, alla quale continuo a dedicarmi. Sono entrato quindi all’Accademia di Imola di cui tutt’ora sono allievo. L’incontro con il Maestro Franco Scala è stato e continua ad essere particolarmente significativo per la mia crescita artistica. Per gli aspetti psicologici, di verifica aperta sulle idee musicali, per le esperienze di analisi, anche extrapianistiche, il tutto finalizzato a valoriz- zare la ‘personalità’ dell’individuo. Da qui la capacità di lasciarlo esprimere liberamente per capire meglio dove lavorare e dove lasciar fare da solo. Questi sono e continuano ad essere elementi fondamentali della mia avventura musicale. L’ambiente è fertile per lo scambio di vedute talvolta anche dopo lunghe discussioni con docenti e allievi. Molto positivo è il fatto che si può sempre 'rubare' qualcosa da tutto e tutti.

Ti senti, almeno per certi aspetti, maturo per lavorare da solo, o senti ancora la necessità di appartenere ad una scuola?

In questi primi anni di lavoro a Imola ho approfondito con il Maestro le regole della libertà esecutiva. Questo per la necessità di un miglioramento della sonorità in elasticità che attraverso lo studio della plasticità dei fraseggio, delle dinamiche nascoste nei testi, ad esempio, mi ha portato ad un maggiore e più cosciente dominio della forma e anche dello strumento. Naturalmente Bach, Mozart, Beethoven, la grande musica romantica sono stati e continuano ad essere la palestra migliore per questo esercizio. Dalla stessa lente di ingrandimento abbiamo ‘ingigantito’ la correlazione tra ‘cuore e cervello’ costantemente presente nelle ese- cuzioni e profondamente essenziale nello sviluppo di un vero talento. Penso, con l’aiuto di queste nuove conoscenze, di essere molto più maturo e molto più autonomo nello stile. Resta, naturalmente, ancora molto da conoscere nel campo della filologia, per certi aspetti anche dell’analisi musicale, che lo stile romantico comunque non trascura, della prassi autentica, e le innumerevoli espressioni della musica dei ‘900. Ho comunque tutta vita davanti!!!

Conta molto per te la cultura? Sia quella musicale (anche non pianistica, ovviamente) sia quella generale? Ti senti di star maturando anche in questo senso? Sai che in genere la ‘fauna’ pianistica vive culturalmente allo stato brado!

E’ indubbio che la cultura ha un ruolo fondamentale nella vita di un artista. Soprattutto la disponibilità della mente ad essere curiosa, attratta nei confronti di ciò che non ha sempre un risvolto pratico per la sua esistenza. Il contatto con le arti figurative, penso sia fondamentale. In fondo un musicista non fa che creare anche delle forme astratte!!! Da parte mia uno stimolo molto forte all’approfondimento extramusicale è stato il liceo classico che, devo dire, mi è stato utilissimo: soprattutto per l’apprendi- mento di un sistema per spaziare nei cicli della letteratura - altra materia di mio grande interesse - delle pittura, della storia e della cultura classica in genere.

Lasciamo la cultura e il repertorio. Tento un affondo: com’è la parte ‘umana’ di Andrea? Essere pianista, musicista, artista, uomo: cerchi concentrici sempre più larghi. Quali le tue percentuali?

Vorrei essere sempre più artista che pianista, penso che dipenda molto anche dalla natura. C’è chi nasce più incline all’una che all’altra cosa, la mia vita fino ad ora è stata - come credo sia giusto - prevalentemente dedicata allo studio. Perciò la parte umana ha bisogno di svilupparsi: darei quindi un 20%, con desiderio di aumentare. Come artista, senza presunzione, darei una percen- tuale più alta 50%; penso, per volontà della natura, di avere dato in questi anni un ruolo molto importante alla sensibiltà. Essa muta con il trascorrere del tempo e delle esperienze, ma si riflette sempre molto sulle mie esibizioni. Penso che si avvicini molto alla visione della vita di artista che poi inevitabilmente si riflette nell’esercizio dell’arte. Come musicista (20%) c’è molto da cre- scere, anche se il viaggio è appena incominciato. Come pianista (10%)??: ma non mi è mai interessato più di tanto. Importante è raggiungere la padronanza per fare ciò che si vuole; però, secondo me, questo più per amore della musica che non per dita.

Ma torniamo al repertorio e al tuo lavoro specifico. Come ti organizzi? Come pianifichi le tue scelte e il tuo repertorio? Hai (è naturale) dei lati prediletti. Ma vi sono anche motivazioni, diciamo, ‘occasionali’, vero?

Tre sono i momenti della scelta dei repertorio: formazione, curiosità, esigenze delle associazioni concertistiche, naturalmente in percentuali diverse!! Troppo tardi ho avuto modo di convincermi della necessità assoluta di Bach, senza il quale non passo neanche un giorno (formazione). Evidentemente per la costruzione di un musicista sano è fondamentale poi la frequentazione di Mozart, Beethoven, e così via tutti gli altri. E’ anche vero che spesso a noi giovani si commissionano esecuzioni di autori non troppo frequentati. Di qui nasce la curiosità. Recentemente ho suonato brani di Hoffmeister (un Mozart minore!!), di Cimarosa (uno Scarlatti minore, ma non troppo!!), di autori dei Novecento, ad esempio della bellissima musica di un giovane compositore italiano emergente (F. Antonioni). Poi vengono le esigenze delle società del concerti che oggi tendono sempre più a richiedere ‘programmi a programma’. Così si può conciliare curiosità intellettuale e formazione, cercare sempre di costruire programmi che si amano e che forgiano. Predilezioni? Difficile dire. Tutta la musica che tocca il cuore. In questo momento ho la ‘mania’ di Bach (anche quello orchestrale della Messa in si minore) e ho un particolare piacere per espressioni dei ‘900 ancora da me inesplorate: Poulenc, Scriabin, Berg, cose molto diverse tra loro.

Luciano Berio. L’opera pianistica. Scelta personale, o richiesta precisa? Conosci, e suoni altri autori contemporanei (Messiaen, Ligeti, etc.)?

L’incontro con la musica di Luciano Berlo è avvenuto non troppi anni fa, mentre il Maestro lo conobbi molti anni fa, nel 1989 a Salisburgo. La produzione pianistica (Sequenza IV, Encores, Rounds, 5 Variazioni) è infinitamente formativa per un pianista ‘romantico’. Si tratta di ottenere un tocco aggressivo, duro con molto nervosismo e scatto. Questo, da un lato provoca un iniziale sconvolgimento, da un altro si giunge al dominio di uno stile completamente opposto a quello classico, incline e tipico dei nostro secolo: il pianista freddo. Poi, quando si torna al repertorio consueto, si aprono indubbiamente nuovi varchi. Naturalmente non manca una profonda spiritualità che si esprime con mezzi nuovi. L’assurdo, l’ironia che escono da clusters, gruppi elettronici, ecc. rivelano una straordinaria essenzialità, pragmatica come è naturale nell’uomo contemporaneo. Conosco anche un po’ le opere centrali, il resto dei viaggio musicale del Maestro: amo profondamente i lavori sinfonici (Symphonia, Formazioni, i concerti per pianoforte e orchestra, ecc), il Berio dei Folk Songs e dei duetti per due violini, i lavori teatrali, in particolare Outis (1990).

Amo il pianoforte di Messiaen e Ligeti, anche se non lo conosco ancora molto dettagliatamente.

Esperienze con orchestre e direttori. Ricordo i tuoi concerti ‘iper-giovanili’ con i Luzerner.

Difficile privilegiare un’esperienza sulle altre. Posso dire solo che se da un lato è formativo mettere a confronto le proprie idee con quelle degli arti, dall’altro le esecuzioni con orchestra (soprattutto sinfonica) sono esperienze particolarmente formative. Recente- mente ho fatto le Variazioni Sinfoniche di Franck (con I Pomeriggi Musicali, direttore il giovane Bisanti), il Concerto n. 2 di Beethoven (Orchestra Sinfonica Abruzzese - dir. Nordio), alcuni concerti di Mozart (Orchestra di Padova, E.U.C.O., Accademia I Filarmonici - dir. Borgonovo, ecc.), il Concerto op. 35 di Shostakovich (Salzburger Chamber Soloists) e, numerose altre. Per me è sempre molto bello vedere, ascoltare, apprendere come un direttore, durante le prove, riesce a creare sonorità, fraseggio, colore, senso del gusto nell’evoluzione continua dei dialogo con il solista. Delle esperienze ‘iper-giovanili’ con i Festival Strings Lucerne, ricordo una straordinaria tensione a rinnovarsi sempre, nel raggiungimento di una sonorità e libertà uniche. I concerti di Bach, Mozart; le esperienze sotto la guida dei Maestro Baumgartner. Momenti magici, la ‘gioia di fare musica insieme’.

Ti piace viaggiare? Riesci e fare il musicista e il viaggiatore? Il viaggiatore colto, ovviamente!

Devo dire che con gli anni sto imparando lentamente ad amare i viaggi. Essi fanno parte dell’ "Altro": di cui ha bisogno un artista per alimentare la sua crescita interiore, conoscere sempre più curiosamente cose di cui non immagina neppure l’esistenza.

Purtroppo, per ora, la giovane età ed il desiderio incessante di affermazione costringe spesso a sacrificare la visita ad un museo ad un paio d’ore in più di prova in sala da concerto. Però, l’intenzione a vivere più a fondo il mondo esplorato sui libri c’è sempre. Posso ricordare, ad esempio, l’emozione che ho provato atterrando a Buenos Aires (minuti e minuti sopra il diabolico fiume Rio de La Plata che stimola allegorie arcane) o a Città del Messico (mezz’ora sopra ad una città di dimensioni abnorni), senza dimenticare il fascino del litorale siciliano e della penisola Sorrentina immortalati in un tramonto primaverile ricco di profumi e aromi fuori dal comune. Penso, comunque, che ogni spostamento sia sempre un’occasione da sfruttare.

Anche se giovanissimo, hai già alle spalle una discreta attività discografica. Sei soddisfatto dei dischi che hai regi- strato? Preferisci le esecuzioni live? O senti di esse- re creativo anche in sala d’incisione? Progetti futuri, scelte? Chi sceglie, tu o loro?

Dei miei dischi, purtroppo, forse per il divenire continuo della mia crescita artistica, non sono affatto soddisfatto; più invecchiano, peggio è. Nel caso, soprattutto, delle prime incisioni per la mancanza di libertà e di conseguenza la sonorità ancora troppo ruvida!!! Via via, ci sono alcune registrazioni dal vivo che mi piacciono di più, ma sempre con occhio vigile all’articolazione che è in continua evoluzione.In genere preferisco le incisioni ‘live’ perché la presenza dei pubblico favorisce una maggiore ispirazione dell’artista anche se l’obbligo di una sola esecuzione le rende più vulnerabile. Per quello che riguarda i progetti, c’è appunto la produzione per questo numero della rivista (tre concerti di Mozart con I Filarmonici di Verona diretti da Borgonovo), la prima mondiale delle sonate di Hoffmeister per flauto e pianoforte e delle Sonate op. 120 di Brahms nella versione sempre per flauto e piano e, infine, un disco con la produzione pianistica di Luciano Berio. Sulle scelte, compatibilmente con le esigenze delle case discografiche, normalmente decido io o comunque scelgo io nell’ambito delle proposte di interesse degli editori.

Domando ‘filologica’: lavori su buone edizioni musicali?

Penso di sì. Sempre le più originali possibili, spesso le metto a confronto. Ad esempio per le sonate di Mozart lavoro sulla ‘Henle (Urtext)’ con la stupenda revisione di Fischer. Nel caso di alcuni autori c’è una sola edizione (Berio - Universal, ecc.).

Senti di avere olio spalle una tradizione interpretativa, o cerchi di essere originale a tutti i costi? Ascolti le esecu- zioni dei tuoi colleghi, grandi e piccoli?

Per quanto sempre più spesso mi senta dire che sono un pianista interessante, confesso che non ho mai fatto nulla per esserlo. Voglio dire che l’originalità di un artista è per me la capacità di ‘essere’ esso stesso artista; cioè di riuscire a sentire profonda- mente la musica, e di conseguenza, farla sentire con le stesse emozioni anche a chi la ascolta. Ho sempre pensato, dunque di educare il mio talento in modo da farlo emergere progressivamente, per farlo diventare sempre più ‘mio’ personale, ma senza dimenticare mai la musica (cioè il cuore, il cervello, ecc.). Quindi è evidente che non cerco di essere originale a tutti i costi, anzi detesto tutto ciò che è fatto specificatamente solo per tale fine. Voglio dire che come filone interpretativo, per adesso, devo molto all’arte di Horzowsky, Hess o Casals e così via; artisti che sono negli ideali anche di musicisti all’apice della gloria e della matu- rità come Schiff, Perahia, Serkin, Lupu, grandi dei presente che amano spesso ricordare i loro legami con l’arte leggendaria dei maestri romantici. Naturalmente ascolto con grande interesse le diverse esecuzioni possibili, secondo stili anche molto diversi tra loro, perché penso che sia l’unico modo per alimentare autenticamente il proprio talento.

La tua attività ti sta portando in giro per il mondo. Come trovi in genere gli strumenti su cui suoni? Quali preferisci? Hai mai suonato sul ‘leader’ dei pianoforti da concerto odierni, il Fazioli?

Di solito le associazioni concertistiche che programmano stagioni più o meno internazionali mettono a disposizione ottimi stru- menti grancoda (Steinway il più delle volte, Kawai o Yamaha). Quando non è così, non è perché manca la qualità degli strumenti, quanto perché sono mal tenuti. Un fenomeno che riscontro anche in sale importanti è la non sempre buona manutenzione di strumenti anche se di pregio. Il ricambio generazionale che sta avvenendo in questo settore con le grandi multinazionali che hanno creato scuole opposite per tecnici professionisti sta dando una svolta ad un’arte molto difficile, per lo più tramandata oralmente. Ho suonato tre volte pianoforti Fazioli Gran Coda che mi sono piaciuti molto; spero che mi capiti ancora.

     
 

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