Chiedi alla polvere e ti risponderà
ANDREA BACCHETTI
Quando mi hanno parlato della riscoperta di partiture inedite di autori del Settecento, tratte da manoscritti autentici,
mi sono entusiasmato.
L'emozione di leggere un testo originale così come scritto dal compositore è impagabile.
È bello andare dentro le note, percepire il pensiero dell'autore, interpretarlo per trovare la frase che lui avrebbe
voluto scriveree che rispecchia la sua ispirazione. In poche parole: vivere l' autenticità di quanto voleva lasciare
ai posteri.
È una sorta di rompicapo che ti consente di ascoltare (riscrivendo) la melodia, anche nei dettagli.
Devi tornare indietro negli anni, entrare nel momento storico, nello stato emozionalee caratteriale dell'autore, nel
suo modo di vivere e di concepire la musica. Una ricerca senza fine che ti pone dubbi, ma anche sensazioni incontaminate
che sulle partiture stampate non troverai mai. O meglio: sono già state risolte e interpretate da altri, e ciò toglie
il piacere della scoperta, perché nell'esecuzione non parti da un pensiero che hai sviluppato tu, originale, ma da una
scrittura già tradotta.
L'inusuale decifrazione delle chiavi antiche per noi pianisti è pratica ormai dimenticata, avendo sempre le partiture
in chiavi moderne.
L'immergersi nella "polvere dei secoli" delle biblioteche europee, nella vita e nella storia
di istituzioni centenarie che con il loro lavoro paziente e appassionato ci permettono ancora oggi di disporre di questo
materiale unico al mondo, ci trasmette adesso e per sempre pagine di vita vissuta, di gioia e di dolore di uomini che hanno
lasciato il segno nella storia dell'umanità.
La sintesi di questo lavorare nel tempo è l'acquisire in te stesso la consapevolezza che per crescere non bisogna mai
smettere di cercare, non c'è un punto di arrivo.
Più cerchi, più trovi, più cercheresti: un "crescendo in continuo".
Serenissima Popstar
Musica e Sesso nella Venezia del '700
GIUSEPPE VIDETTI
VENEZIA - «Quella bassa e gialla è la casa di Elton John», esclama Andrea Bacchetti scrutando la Giudecca dalla
Piazzetta San Marco. Poi, brandendo gli spartiti di Baldassarre Galuppi e Benedetto Marcello: «Questi erano
come lui: le pop star del Settecento veneziano». Il giovane pianista genovese è magro, nervoso, un furetto al
servizio della musica; tanto comico nel suo scattante virtuosismo da finire nello show di Chiambretti.
Sono cinque
anni, dal 2007, che il maestro periodicamente si rintana nella rivale repubblica marinara in cerca di tesori da
riproporre nella collana La Tastiera Italiana, che cura con lo storico Mario Marcarini: un progetto di recupero,
restauro e prima edizione discografica di preziosissimi manoscritti in collaborazione con la Biblioteca nazionale
Marciana di Venezia.
I volumi già pubblicati - dedicati ai compositori Cherubini, Galuppi, Marcello e Scarlatti -
hanno avuto risonanza internazionale. Negli spazi monumentali progettati dal Sansovino, Bacchetti si muove come a casa.
È questa la struttura che custodisce i suoi "vangeli", manoscritti originali di uno dei patrimoni musicali
più importanti del mondo, riccamente decoratie rilegati in marocchino rosso. Ce ne sono di perduti, ritrovati e
restaurati di fresco che stanno scatenando la curiosità di musicisti e melomani.
«Erano i tempi in cui ricchezza
faceva rima con bellezza», sospira Franco Rossi, vicedirettore del conservatorio Benedetto Marcello e docente di
storia della musica. Le vicende della Marciana sono una favola che oggi non avrebbe lieto fine.
È il 1468: il cardinale
greco Bessarione fa dono dei suoi mille codici latini e greci alla Repubblica di Venezia. Per ospitare il prezioso carico,
lo Stato Veneto affida a Jacopo Sansovino la costruzione davanti al Palazzo Ducale di un grandioso edificio di stile
classico. La sala di lettura viene decorata da Tintoretto e Veronese; nell'antisala, ornata da un dipinto di Tiziano,
trova posto il Museo Statuario della Repubblica. Uno scrigno per tutte le arti; un'allegoria del Veronese è dedicata
alla musica (popolare e colta): donne che cantano e suonano il liuto e la lira da gamba sotto gli occhi compiaciuti
del dio Pan.
«Uno dei luoghi più belli del mondo della cultura dal valore simbolico enorme, in un secolo che sta
perdendo l'uso della memoria», ammonisce il professor Rossi. Se oggi un ipotetico Bessarione facesse una donazione
in libri dal contenuto filosofico metterebbe in imbarazzo le istituzioni che non saprebbero come e dove sistemarli.
Tesori negletti che non arriverebbero ai posteri. Sorte anche peggiore toccherebbe a quegli spartiti musicali di tre secoli
fa che il buon governo della Serenissima teneva in altissima considerazione.
La sala di lettura della Marciana, cui
si accede dalla scala allegorica del Sansovino raramente aperta al pubblico che simboleggia la musica come forma di
ascensione collettiva verso il cielo, assomiglia al salone delle feste di un palazzo reale con i magnifici affacci su
Piazza San Marco. In mostra anche il primo cahier de musique di cui si sia a conoscenza, codice riccamente miniato in
oro zecchino appartenuto alla signora Maria Venier. Contiene le sonate autografe che i musicisti invitati a palazzo
dedicarono alla nobildonna: uno scorcio inedito della Venezia di primo Settecento.
Quanti anni aveva la Venier?
Che rapporti intratteneva con i protagonisti della musica dell'epoca? Raccoglieva autografi dei suoi idoli come oggi le
groupie quelli delle rockstar?
«Non abbiamo molte informazioni su di lei», precisa il professor Rossi.
«Sappiamo solo che La Fenice, alla fine del Settecento, fu edificata nel giro di un anno su un fondo di proprietà
dei Venier. Una legge sul lusso sanciva che la città di Venezia dovesse avere non più di sette teatri. Lo Stato dovette
fare una deroga ai nobili affinché ce ne fosse un ottavo, la Fenice appunto. I ricchi dell'epoca investivano sugli artisti.
Esiste copia di un contratto tra il compositore e un nobile veneziano con delle clausole sorprendenti: 1) il maestro ha
diritto al compenso anche nei giorni di malattia 2) verrà retribuito anche quando sarà chiamato a tenere concerti fuori
città o in altri stati».
Personaggio di spicco del teatro musicale italiano, nato nell'isola di Burano nel 1706,
Galuppi (morì a 79 anni e fu padre di 15 figli), dal 1762 maestro di cappella nella Basilica di San Marco, fu star a
livello europeo. I Pisani, una delle famiglie più facoltose di Venezia, lo adottarono. Alla Marciana è conservata una
delle due copie (l'altra è a Parigi) di una cantata, Venere al Tempio, scritta per il matrimonio di un Pisani.
«Sappiamo che le celebrazioni si tennero nel salone delle feste dell'attuale Conservatorio, gli eredi hanno ceduto
il palazzo nei primi del Novecento», precisa Rossi. «Questo per ribadire che anche allora i ricchi spendevano
in maniera dissennata, ma per le cose belle. E uno dei lussi che non si facevano mancare era avere per casa degli artisti.
L'educazione musicale dei figli era seguita con attenzione, come dimostrano alcune lettere appartenute alla potente famiglia
Querini». Ne sa più il professore su Galuppi di quanto noi su Michael Jackson. Prodezze sessuali che fanno impallidire
Bowie e Jagger.
«Intrighi con la Venier? È possibile. Attraverso Cento Anni, il romanzo storico di Giuseppe Rovani
(1818-1874), uno scrittore della Scapigliatura milanese, scopriamo che Galuppi non era esattamente l'artista virtuoso che
voleva sembrare. C'era del torbido nel suo ingaggio fiorentino alla corte di Gian Gastone de' Medici».
Ben noto per la sua condotta libertina ai limiti dell'hard core, il granduca si beava del virtuosismo del Galuppi.
Non solo. «Aveva saputo che il suo clavicembalista preferito era superdotato, lo volle vicino per motivi palesemente
sessuali», precisa Rossi. «In un documento conservato a Firenze - diciamo pure un diario a luci rosse - la sua
prestanza fisica è descritta con dovizia di particolari. Che l'ultimo rampollo dei Medici fosse un sodomita era risaputo
anche fuori dal Granducato di Toscana, tanto che il padre di Domenico Scarlatti si adoperò in ogni modo affinché la permanenza
del figlio a Firenze non durasse più di qualche giorno. Anche Caterina II di Russia, rinomata per i suoi appetiti sessuali,
era ben informata sulle dotazioni di Galuppi. Il soggiorno di Baldassarre a San Pietroburgo fu lungo e chiacchierato.
Quando il figlio di Caterina venne a Venezia, poco prima della morte del compositore, gli consegnò un dono prezioso: "Da
parte di mia madre, che non vi dimentica", gli disse. Era il frutto della loro relazione? I comportamenti sessuali,
anche borderline, erano molto tollerati dalla società dell'epoca. Ben oltre le prodezze di Casanova dovette spingersi
Lorenzo Da Ponte, il librettista delle Nozze di Figaro, per essere bandito (il 17 dicembre 1779) dalla Repubblica di Venezia
per quindici anni».
È purissima e malinconica l'aria per clavicembalo del Galuppi che il maestro Bacchetti fa risuonare
sotto le preziose volte della Marciana, tra i tesori musicali esposti a una generazione distratta.
«Qui dentro c'è il
fondo più importante appartenuto ai reali di Spagna e Portogallo dal Quattrocento fino all'Ottocento. Materiali che ci
mettono in contatto con la Storia», conclude Rossi. Vuol dire che saremmo dei mostri se facessimo scempio di tanta
bellezza.
E non s'arrivi a dire che ogni generazione ha la Venier che si merita.